venerdì 27 maggio 2016

Elevare l'anima degli esseri umani

Notammo che le ragazze si erano riunite per le preghiere serali. Ci fermammo a lungo ad ascoltarle, fuori al buio, in piedi e con le valigie poggiate a terra.

di Holiday Reinhorn
Originale in inglese su bahaiteachings.org

Studentesse all'Istituto Barli
Limita i tuoi pensieri a qualunque cosa innalzi l'anima umana al Paradiso della grazia del cielo e faccia che ogni uccello del Regno s'involi verso il Supremo Orizzonte, epicentro d'onore imperituro in questo mondo effimero. (‘Abdu’l-Bahá, Antologia 171)
La nostra ultima attività prima di pranzo fu una riunione che si tenne nell’ampia aula principale dell’Istituto Barli, un ampio locale dove, su tappeti splendidamente intessuti a mano, 65 ragazze sedevano a gambe incrociate con i libri di studio aperti davanti a loro. Stavano studiando per gli esami finali, ci disse Tahera, un esame di cucito e uno su salute e benessere.

Notai un grande tavolo collocato su un lato dell’aula con microfoni e con accanto un podio. Improvvisamente, prima che potessi rendermi conto di cosa stava succedendo, Tahera era salita sul podio per presentarci in Hindi alle studentesse e invitò Sima, Karin e me a parlare brevemente delle nostre vite e di cosa ci aveva portato all’Istituto Barli. Dopodiché’ ci sarebbe stato spazio per le domande delle ragazze.

“Prego,” ci invitò sorridendo. “io tradurrò”

Fortunatamente Karin era la coraggiosa che parlò per prima tenendo una breve lezione su come curare la pelle e preservarne la salute. Fui scioccata quando lei chiese alle studentesse se usavano composti chimici fatti in casa per schiarirsi la pelle del viso. Almeno due terzi delle ragazze alzò la mano, un triste segnale del persistere di pregiudizi di genere e di casta sul colore della pelle e dell’influenza che questi hanno lungo tutto l’arco della vita delle donne indiane. Karin promise di lasciare a Tahera un certo numero di prodotti utili per problemi di pigmentazione e per bruciature e cicatrici che possono verificarsi nei casi più gravi.

Dopo Karin parlò Sima della sua esperienza come unica donna ingegnere in una numerosa classe di laureandi a Teheran. Raccontò delle violazioni dei diritti umani subite, che la costrinsero ad immigrare negli Stati Uniti e che, per oltre trent’anni, le avevano impedito di tornare nel suo paese.

“Tuttavia ci sono passata sopra,” disse. “È successo nel pieno della notte. Ho visto le stelle sopra le montagne dell’Iran. Ho dovuto vederle dall’aeroplano, nel buio, mentre ero in volo per venirvi a trovare.”

Poi arrivò il mio turno. Il mio cuore batteva all’impazzata e avvicinandomi al microfono iniziai a sudare.

“Sono una madre,” dissi loro indicando Walter in fondo all’aula, “e anche una scrittrice e un’insegnante part-time di scrittura creativa. Il più delle volte il mio lavoro consiste nel sedermi di fronte allo schermo di un computer in pigiama, nell’inventarmi storie provando a scrivere libri ma quando, in un paese chiamato Haiti, ci fu un terribile terremoto andai sul posto per insegnare a scrivere ad un gruppo di ragazze, più o meno della vostra età. Incontrarle e lavorare con loro mi ha cambiata. Ha cambiato me stessa e il mio mondo.”

Cercai altro da dire al pubblico che aspettava. Avevo di fronte tanti bei volti e la mancanza di parole mi fece provare un vergognoso senso di fallimento.

Volevo chiedere loro cosa sognassero? Come erano diventate così coraggiose? Quale era il loro primo pensiero al mattino, quando si svegliavano, e l’ultimo, prima di addormentarsi? Cosa succederà di noi? Riusciranno mai le donne ad ottenere la parità con gli uomini in tutti gli angoli della terra?

Ricordavo il sentimento sterile che provai in uno dei miei primi viaggi ad Haiti, prima del terremoto. Ricordo di essermi seduta in cerchio, assieme ad un gruppo di bambini delle elementari, in una delle scuole di campagna più remote, nell’Artibonite Valley, incapace anche solo di immaginare cosa dire, oppure offrire, a quel gruppo di cuori aperti. “Che cosa desiderate?” fu quanto di meglio riuscii a pensare. Ricordo una piccola ragazza, la più giovane del gruppo, che indossava un vestito bianco, con tanti nastri, incredibilmente immacolato. Mi venne incontro e si sedette sulle mie ginocchia e mi prese la mano.

“Nella mia famiglia ci sono undici fratelli e sorelle,” disse orgogliosa “Il mio lavoro è coltivare patate dolci ma mi piacerebbe essere una cantante.”

Ricordai, allora, come tutti nel cerchio, l’insegnante e tutti gli studenti, iniziarono a parlare eccitati, tutti insieme e come, attorno a me, fosse scoppiato un putiferio.

“Che c’è? Cosa sta succedendo?” chiesi all’interprete creolo. “Sono semplicemente sorpresi,” mi rispose con un enorme sorriso. “Questa ragazza a scuola non ha mai parlato prima di oggi,” spiegò. “Tutti pensavano che fosse muta o sorda.”

Guardai il pubblico, un mare di sguardi ricettivi, ma ancora le mie labbra non si muovevano. Fino a quando, ad un certo punto, nell’inquietante silenzio, notai una finestra aperta con rami fioriti e, ad un tratto, sentii un canto, il canto degli uccelli.

“Ognuna di voi è come un uccello,” mi ricordo di aver detto. “Ognuna di voi ha un canto che appartiene solo a lei e scrivere può essere un modo di esprimere questo canto. Il mondo vuole sentire la vostra voce. Veramente lo vuole. Ve lo assicuro.” Su alcuni volti apparvero dei sorrisi e io mi sentii debole ma sollevata.

“Sono venuta per ricordarvi che il mondo ha bisogno delle vostre storie,” dissi con voce più decisa. “Necessita delle vostre parole. Tutti i giorni potete trovare il tempo per scrivere qualcosa sul vostro quaderno, qualsiasi cosa, per tutta la vita. I vostri pensieri, le cose che vedete, le vostre verità. Ogni volta che scrivete date voce alla vostra anima. Lasciate una vostra impronta, unica, nel mondo. Le storie sono il modo in cui ci conosciamo l’un l’altro,” dissi. “Specialmente se vi riguardano. Il mondo ha bisogno di conoscervi, in modo che anche gli altri sappiano quello che voi già sapete.”

“Ditemi in una sola frase,” dissi. Poi chiesi: “Cosa ha significato per voi questa esperienza all’Istituto Barli?” Le ragazze abbassarono lo sguardo sui loro quaderni e mentre sentivo le matite che sfregavano sui fogli provavo un’immensa gioia.

Si fece sera e, dunque, era arrivato il momento di lasciare l’istituto. Oltrepassando la stanza comune notammo che le ragazze si erano nuovamente riunite. Questa volta per meditare e cantare le preghiere serali. Ci fermammo a lungo ad ascoltarle, fuori al buio, in piedi e con le valigie poggiate a terra. Tra le mani avevo le parole scritte dalle ragazze e tradotte per me da Tahera e anche i regali che ci erano stati offerti, dopo il nostro discorso, nel pomeriggio. Erano piccoli oggetti in stile locale, fatti a mano, con il materiale rimasto dalle classi di cucito che era stato annodato e legato saldamente con fili argentati intrecciati tra di loro. Tutti questi oggetti avevano la forma di uccelli.

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Diventare cittadine del mondo

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Queste sono opinioni puramente personali e non rappresentano l'opinione della comunità bahá’í o di qualunque sua istituzione. Gli scritti bahá’í invitano ogni singolo ad una libera ed indipendente ricerca:
O FIGLIO DELLO SPIRITO!
Ai Miei occhi la più diletta di tutte le cose è la Giustizia; non
allontanartene se desideri Me, e non trascurarla acciocché Io
possa aver fiducia in te. Con il suo aiuto ti sarà possibile discernere
coi tuoi occhi e non con gli occhi degli altri, e apprendere
per cognizione tua e non con quella del tuo vicino. Pondera
ciò nel tuo cuore, come t’incombe d’essere. In verità la Giustizia
è il Mio dono per te e l’emblema del Mio tenero amore.
Tienila adunque innanzi agli occhi.
(Bahá’u’lláhParole Celate, Arabo, n.2)

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